Politica

Gli equivoci della destra e di Giorgia Meloni

GLI EQUIVOCI DELLA DESTRA E DI GIORGIA MELONI

Non chiederei a Giorgia Meloni, se ne avessi la possibilità, di dichiararsi antifascista.

Per delicatezza non metterei, mai, in difficoltà una donna (per questa ultima frase mi

aspetto un richiamo disciplinare dalle femministe). Certo è, però, che il dubbio sulle

sue convinzioni esiste perché, ieri, Giorgia Meloni, alla commemorazione dei

cent’anni dalla morte di Matteotti, ha taciuto sull’antifascismo, anche se, nella sua

dichiarazione ha voluto “commemorare un uomo libero e coraggioso ucciso da

squadristi fascisti” frase commentata dal suo ex camerata Gianfranco Fini che ha

chiosato così: “la Meloni ha affermato una verità universalmente riconosciuta, di

conseguenza non negabile”.

Il Presidente della Camera dei deputati Lorenzo Fontana che fa parte della

maggioranza meloniana, invece, ha disposto di mettere una targa sullo scranno da cui

Matteotti pronunciò il suo ultimo discorso, che non sarà più occupato a perenne

ricordo del sacrificio di un personaggio che è morto massacrato dalle squadre

fasciste. Certa è, anche, l’assenza della Presidente Meloni alla commemorazione della

strage di Piazza della Loggia a Brescia, procurata da potenti candelotti di dinamite

fatti esplodere dai fascisti di ordine nero.

Vorremo credere che la Presidente voglia discostarsi dal fascismo e che non lo faccia

per non perdere quelle migliaia o centinaia di migliaia di voti della destra estrema,

timore insensato in quanto quei voti resterebbero, comunque, al Partito della Meloni

perchè sarebbe sconveniente alla destra estrema organizzare un partito di meno del

2% non utile per entrare il Parlamento.

La signora Meloni, Presidente del Consiglio, quindi, potrebbe finalmente mettere da

parte dubbi e preoccupazioni, e dichiarare, spontaneamente, di essere antifascista.

Lo facesse per una Italia in cui gli italiani possano sentirsi più liberi e godere della

libertà di parola, di azione e di pensiero che sono la base di una democrazia matura.

Se non lo fa, dopo la sua battaglia per introdurre il “Premierato” nel nostro sistema

democratico, che è una struttura di governo che propende verso l’autoritarismo, fa

nascere il timore che, col suo progetto di riforma istituzionale, non esclude metodi

che nulla hanno a che fare con la democrazia così come è sancito nella Costituzione

scritta nel 1947 da grandi uomini che ebbero lo scopo principale di impedire il ritorno

in Italia di un regime autoritario e antidemocratico.

Domenico Francesco Richichi (Direzione regionale PD Calabria)

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio