Buone notizie sul fronte della trasparenza pubblica. Questo blog ha dato notizia delle dichiarazioni rese, ai sensi di una legge del 2018, dai consiglieri regionali della Calabria eletti a seguito della tornata di voto del 2021. L’articolo 44 della legge regionale n. 9 li obbligava, infatti, a rendere nota la «propria appartenenza o non appartenenza ad associazioni che abbiano finalità dichiarate o svolgano di fatto attività di carattere politico, culturale, sociale, assistenziale e di promozione economica, precisandone la denominazione» e tutti all’unisono hanno dichiarato di non essere iscritti ad alcuna loggia massonica. Una buona notizia, sia chiaro, non perché la scelta di sottostare a un’obbedienza massonica ufficiale sia di per sé un disvalore, ma perché sottrae la Calabria al solito coro di mugugni e ammiccamenti che circonda questa regione ogniqualvolta si parli di logge e di grembiulini. Il fatto, poi, che a capo di una delle più importanti associazioni massoniche italiane sia stato eletto di recente, e non senza contrasti, proprio un calabrese è un dettaglio, destinato ad essere annacquato dal compendio tetragono delle autodichiarazioni dei consiglieri calabri nessuno dei quali ha rivendicato o segnalato una tale adesione.
Naturalmente trattandosi di dichiarazioni provenienti da soggetti investiti di cariche pubbliche si è in presenza di atti muniti di fede pubblica e la cui falsità sarebbe punita con una certa asprezza. Il ché dovrebbe ulteriormente rassicurare la pubblica opinione calabrese e non solo.
Capitolo chiuso, dunque, e si dovrebbe restare in attesa che altre regioni diano anche loro il buon esempio su questo scosceso crinale della vita pubblica. Tuttavia.
Tuttavia l’articolo 44, approvato nel 2018 e finito sul Bollettino della Regione Calabria il 2 maggio di quell’anno, è stato rapidamente rimaneggiato con un legge del 28 dicembre dello stato anno con la quale è stato inserito un “provvidenziale” comma 3-bis. Una di quelle interpolazioni di fine anno, a cui sicuramente nessuno avrà fatto attenzione, ma notoriamente il diavolo si annida nei dettagli e il dettaglio non è da poco perché recita: «Resta salva l’applicazione dell’articolo 9 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016 (regolamento generale sulla protezione dei dati)».
Ma cosa conterrà mai questo articolo dell’Unione europea?
Semplice, sancisce (anche) il divieto di trattare dati personali che rivelino «le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale» di una persona. Ci sono un nugolo di eccezioni, ovviamente, ma l’unica riferibile al caso preso in esame dalla legge calabrese – se non è stato dato consenso preventivo da parte dell’interessato alla divulgazione – è che il trattamento sia «necessario per motivi di interesse pubblico rilevante sulla base del diritto dell’Unione o degli Stati membri, che deve essere proporzionato alla finalità perseguita, rispettare l’essenza del diritto alla protezione dei dati e prevedere misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi dell’interessato».
A occhio e croce si può dubitare che il diritto europeo possa ritenere rilevante la divulgazione dell’appartenenza massonica di un eletto. Con il ché dichiarazioni dei consiglieri regionali (ed eventuali falsità) vanno a farsi benedire, perché si potrebbe ragionevolmente e a lungo discettare della punizione di una dichiarazione mendace o reticente alla luce del diritto alla privacy del singolo eletto da ritenersi prevalente rispetto a quello pubblico in una declinazione (l’appartenenza massonica) non considerata sinora come illecita. Insomma, forse, un buco nell’acqua.
Bisogna, quindi, rassegnarsi alla presenza nelle istituzioni di soggetti “ombra” la cui identità culturale, politica o filosofica resti nascosta e sia dissimulata agli elettori? No, assolutamente no. Perché lo stesso articolo 9 del regolamento Ue sulla privacy prevedeche un simile trattamento dei dati sia consentito a «una fondazione, associazione o altro organismo senza scopo di lucro che persegua finalità politiche, filosofiche, religiose o sindacali, a condizione che il trattamento riguardi unicamente i membri, gli ex membri o le persone che hanno regolari contatti con la fondazione, l’associazione o l’organismo a motivo delle sue finalità e che i dati personali non siano comunicati all’esterno senza il consenso dell’interessato». Capiamoci bene: a chiedere la dichiarazione di appartenenza o di non appartenenza può benissimo essere un’associazione privata la quale voglia cautelarsi da indesiderate “infiltrazioni”.
Insomma, è possibile richiedere notizie di tal genere a un soggetto per evitare che una loggia massonica sia infiltrata da un neocatecumenale o una parocchia da un eretico. Ma questa prerogativa non compete alle istituzioni pubbliche in assenza di rilevanti divieti di legge.
Questione spinosa e delicata che mette in fibrillazione la trasparenza democratica e che non può essere risolta in modo demagogico.
Certo i partiti e i movimenti hanno, come visto, tutto il diritto di pretendere simili dichiarazioni dai propri iscritti o dai propri candidati e possono sbarrare la parta a massoni o neocatecumenali o anarchici senza che nessuno possa aver nulla da ridire.
Come si vede la democrazia si difende dal basso e la trasparenza non è roba che si impone dall’alto.