Politica

L’autonomia differenziata aiuta i cittadini calabresi?

L’autonomia differenziata, appena approvata dal Senato, è sostanzialmente una scatola vuota. A guardarci dentro con una certa attenzione, ovviamente, si scoprono un sacco di cose. Trabocchetti, scorciatoie, piccoli e grandi giochi di prestigio, vane declamazioni, ingannevoli rassicurazioni. Un giorno qualcuno dovrà pure incaricarsi di aprirla questa scatola per indicare ai cittadini cosa contenga effettivamente. Perché, certo, preoccupa la scarsa conoscenza dei contenuti del provvedimento tra la società civile, la mancanza di un’effettiva partecipazione popolare alla discussione, l’assenza di un dibattito approfondito sui vari problemi che la legge presenta. Se dovesse andarsi effettivamente a un referendum su iniziativa del centrosinistra ci sarà modo di svolgere quell’opera di divulgazione e discussione che le norme approvate dal Senato imporrebbe, al momento una cappa di nebbia circonda il testo. Perché, sia chiaro, è la legge più importante mai approvata da decenni a questa parte. Molto più della legislazione pensionistica, di quella d’istruzione, della riforma sanitaria del 1978; insomma molto di più di quanto sia stato messo in campo in Italia almeno a partire dall’attivazione delle Regioni nel 1970. Non c’è ambito della vita sociale, culturale, economica del paese che non sia interessato all’autonomia differenziata. Stabilirà, se dovesse andare in porto, per decenni quella che sinteticamente potremmo definire la “qualità della vita” nelle 20 regioni italiane per decenni e, verosimilmente malgrado qualche posticcio trucchetto del testo del Senato, per sempre e in modo irreversibile. Perché, badate bene, chi ha preparato il testo lo sa bene che è una scommessa senza ritorno e vie d’uscita; varata la nave autonomista si sa con certezza che una parte dello scafo sarà sottacqua (il Sud e le isole) e una parte galleggerà festante (il Nord e parte del Centro); sembrerà una di quei relitti che non navigano e non affondano, sino a quando la parte sottacqua non si staccherà per andare a fondo e l’altra riparerà la falla navigando alacremente.

Per capire, a spanne, dove si annidi il problema occorre comprendere esattamente cosa siano i LEP ossia i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Per intendersi un banale esempio: quale deve essere la proporzione tra asili per l’infanzia e popolazione? 10 asili ogni 10.000 abitanti? oppure ogni 20.000? o ogni 30.000? Il trucco sta nell’indicare la cifra più bassa e ritenere assicurato il livello essenziale di questa prestazione, così impattante sulla vita della nazione, al rapporto inferiore. Cosicché si dirà che la Calabria rispetta il LEP di riferimento (10 ogni 30.000) e l’Emilia-Romagna che ha percentuali triple (10 ogni 10.000) deve avere le risorse per assicurare continuità alle prestazioni rese alla propria popolazione. Sono numeri a caso, è evidente, ma ci siamo capiti. Moltiplicate l’imbroglio per posti letto, scuole, università, trasporti, assistenza e così via e si scoprirà che l’Italia è un paese perfetto; che tutte le regioni del Sud garantiscono i LEP e che, quindi, l’allocazione delle risorse pubbliche (per capirci le tasse) resteranno sui territori che le producono perché “fatta l’Italia” dei LEP non c’è più bisogno di “fare gli italiani” ciascuno dei quali deve arrangiarsi con ciò che ha ora e che, a stento, potrà assicurarsi domani.

Certo è solo una preoccupazione, ma la debole risposta delle classi dirigenti del Sud e della politica che le rappresenta non rassicura sul modo in cui i LEP saranno stabiliti dal Governo sulla base del testo approvato. Per carità si prevedono un mucchio di consultazioni, pareri, commissioni, audizioni, ma alla fine decide solo il Governo in modo insindacabile.

E’ chiaro che si tratta di un meccanismo capace di innescare persino migrazioni interne al paese ancora più radicali e irreversibili di quelle che in modo silente si stanno consumando in questi anni. La mancata variazione delle iscrizioni anagrafiche già ora nasconde lo spopolamento giovanile del Sud. La Calabria appare sempre più una ragione per vecchi, da cui sia le forze migliori che i giovani meno talentuosi scappano o sono costretti ad andar via. L’autonomia differenziata congela per sempre questa condizione e la rende ineluttabile. Sarà difficile – o forse impossibile – ottenere che, una volta che le funzioni statali in queste materie sia devolute alle regioni, si possa tornare indietro e rideterminare la distribuzione delle risorse pubbliche. Qualcuno dirà che, in fondo, il solco che divide il Sud dal Nord è già adesso profondo e che appare a tanti incolmabile. Ma spaventa l’idea che anziché pensare a una società inclusiva, coesa, piuttosto che immaginare nuovi assetti sociali e nuovi moduli di organizzazione delle funzioni pubbliche, si voglia mettere una pietra sopra la questione meridionale che tanto assomiglia, per la Calabria almeno, a una lapide.

Fonti
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