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Contro la prepotenza del Consiglio Regionale, per difendere la democrazia locale resta solo il TAR

Nel teatro politico della Calabria, la fusione proposta tra Cosenza, Rende e Castrolibero assomiglia più a un dramma shakespeariano che a un atto amministrativo. L’ardore con cui il consigliere regionale Pierluigi Caputo, durante una seduta consiliare, difende il processo evoca i toni retorici del passato — quasi come se avesse scambiato il suo copione con quello di un prefetto dell’era fascista. “Abbiamo modificato quella legge per allinearla alla normativa nazionale, alla Costituzione e al Testo unico sugli Enti locali,” proclama, insistendo che “non è proponibile e pensabile che un Consiglio comunale di colore diverso da una maggioranza regionale possa dire: “No, il referendum non si fa, la fusione non si fa”…  È un richiamo agli echi autoritari che non dovrebbero trovare spazio in una democrazia che si rispetti.

Tale fusione, presentata come una soluzione ineluttabile ai problemi di governance e gestione di quei territori, solleva dubbi non solo sul ‘come’, ma soprattutto sul ‘perché’. Perché questa urgenza di unire tre comuni con una decisione imposta dall’alto, se non per consolidare potere politico nelle mani di pochi eletti? Le comunità locali, le cui voci dovrebbero essere centrali in questi dibattiti, sembrano essere state ridotte a meri spettatori in un copione già scritto.

La storia insegna che le fusioni imposte raramente portano a finali felici. Invece di un’unione consensuale e gioiosa, ciò che emerge è più simile a un accorpamento forzato, dove il consenso viene soppiantato da decisioni legislative e il dialogo democratico da monologhi di potere.

Mentre Caputo e i suoi sostenitori possono celebrare la loro ultima mossa come un colpo di genio, non si può ignorare il malcontento che ribolle sotto la superficie. I cittadini di Rende e Castrolibero saranno costretti a sopportare debiti non loro, senza un adeguato processo consultivo. Il referendum, così strutturato, mette i comuni più piccoli in svantaggio di fronte al gigante di Cosenza.

L’intento originale della legge regionale era assicurare che i consigli comunali avessero un ruolo determinante nelle decisioni sulle fusioni, una mossa per proteggere un approccio che parte dal basso. Tuttavia, le recenti modifiche legislative, promosse dalla maggioranza di Caputo, hanno rovesciato questa dinamica: per i prossimi quindici anni, qualsiasi iniziativa popolare sarà bloccata.

Questi cambiamenti imposti sollevano severe critiche, trasformando ciò che dovrebbe essere un processo di integrazione democratica in una decisione autoritaria, quasi dittatoriale, evocando un passato che molti vorrebbero dimenticare. Inoltre, trascurano l’impatto negativo potenziale sulle comunità minori costrette ad assumersi responsabilità e debiti non propri. La fusione irrevocabile dei comuni di Cosenza, Rende e Castrolibero emerge come una contraddizione vivente agli ideali di autonomia locale e partecipazione democratica, custoditi gelosamente dalla Costituzione italiana. In un teatro politico dove le maschere cadono raramente, la legislazione regionale ha orchestrato un dramma che va in scena senza il consenso degli spettatori più importanti: i cittadini.

Secondo l’articolo 117 della Costituzione, le Regioni detengono potestà legislativa nelle materie di legislazione propria e concorrente, ma sempre nel rispetto dei principi fondamentali delineati dallo Stato. Il processo di fusione, tuttavia, sembra aver bypassato questa collaborazione essenziale, centralizzando le decisioni senza un adeguato rispetto per le autonomie locali. Il principio di sussidiarietà, sancito dall’articolo 118, che promuove l’iniziativa autonoma dei cittadini, appare ignorato in favore di un’autorità top-down che poco si confà ai principi di equità e giustizia partecipativa.

L’irreversibilità di questa fusione non solo chiude la porta a future revisioni o critiche, ma si pone anche in netto contrasto con l’equità sostanziale, negando ai cittadini di Rende e Castrolibero la possibilità di influenzare o persino di contestare decisioni che modellano profondamente la loro quotidianità e il loro futuro.

In un contesto di decisioni autoritarie, i cittadini di Rende, Castrolibero e Cosenza trovano, dunque, nella legislazione nazionale un baluardo per la loro difesa. Nonostante le recenti riforme legislative abbiano tentato di comprimere la voce popolare, la Costituzione rimane un faro di giustizia.

Il palcoscenico politico potrebbe essere impostato, ma il copione non è ancora concluso. In questa fusione che si pretende irrevocabile, il cittadino non è solo spettatore ma attore principale, con il potere di contestare e richiedere un riesame delle decisioni attraverso i canali legali stabiliti. In questo modo, il dramma politico di Cosenza, Rende e Castrolibero potrebbe ancora vedere un epilogo in cui la giustizia e l’autonomia locale riscrivono la scena finale.

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