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La frutta martorana nasce nell’area dello stretto influenzata dalla cultura bizantina e ortodossa

# prof. Daniele Castrizio

La storia del cibo e dei dolci di ogni centro urbano si presta spesso a un racconto lungo secoli, a patto di avere il coraggio di liberarsi da tanti luoghi comuni, fraintendimenti, vere e proprie mistificazioni. Spesso l’identità di un popolo, della sua religiosità, delle sue tradizioni, è leggibile nelle ricette e nelle preparazioni dolciarie, che vanno difese e tramandate di generazione in generazione.

Se tale assunto è valido per ogni luogo della ecumene, ha maggior valore nel Reggino, che ha subito una violenta conquista da parte di popolazioni barbariche mille anni fa, che hanno immediatamente iniziato un lungo processo di genocidio culturale delle genti autoctone dominate. Nulla è sfuggito a questa implacabile mannaia: la diffusione a piene mani dell’ignoranza ha reso indifesi i Greci di Calabria, che sarebbe giusto chiamare con il proprio nome storico di Romei; dal culto dei santi alla lingua, dagli usi quotidiani alla cultura, tutto è stato deformato, denigrato, manipolato.

Ma i Romei sono testardi, tradizionalisti, conservatori financo all’eccesso dei propri usi e costumi, e tante ricette, soprattutto tra la pasticceria, sono sopravvissute fino al giorno d’oggi. Due esempi eclatanti: i “petrali” e i “cuddhuraci”, che derivano dal greco antico, rispettivamente da petraki 😊 piccole pietre) e kollyrakia 😊 piccole pagnotte). Uno è il dolce tradizionale del Natale, l’altro della Pasqua, e si ritrovano in Grecia e nella Magna Grecia, dove le popolazioni non sono state definitivamente sconfitte dal punto di vista culturale.

Per comprendere, però, la portata della cancellazione della memoria, bisogna parlare, sia pur brevemente, della “frutta martorana”, la cui invenzione è attribuita da una pia leggenda alle monache del convento della Martorana a Palermo, ovviamente in epoca normanna: tutto ciò che è antico, orientale dal punto di vista del rito, deve essere attribuito ai primi conquistatori “occidentali”, cancellando il passato. Eppure, ancora oggi c’è l’usanza bizantina e ortodossa di offrire dolci e frutta per i vivi e per i morti, con la benedizione dei sacerdoti. È un rito antichissimo, che trae origine dal refrigerium, il pasto in comune accanto alla tomba dei propri cari defunti. Si può affermare ,quindi che la cultura bizantina e ortodossa influenza la nascita della prima frutta martorana nell’area dello stretto .

In tutta la Magna Grecia e in Sicilia, poi, l’abilità nel realizzare la pasta di mandorle, ha portato alla creazione di dolci a forma di frutta, il cui uso nell’ambito delle ricorrenze funerarie è ancora oggi in auge, anche se non rimane la consapevolezza della sacralità da parte della popolazione. Un tipico esempio di banalizzazione di un dolce che ha, invece, una storia millenaria, da tramandare a chi verrà dopo di noi.

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