Cronaca

Vicenda Salis e giustizia Ungherese

Molti di coloro che si indignano, dovrebbero tornare indietro con la mente a 33 anni fa, quando battevano le mani e inneggiavano ai magistrati di mani pulite che riservavano lo stesso trattamento, catene ai polsi, agli imputati, non ancora condannati, della vicenda, cosiddetta, di mani pulite.

C’è, poi, da considerare che la storia di Ilaria Salis e Gabriele Marchesi va riguardata sotto vari aspetti se non si vuole cadere in trappole populistiche ed inopportune, vista la delicatezza della vicenda.
Cominciamo dall’accaduto:13 mesi fa, due angeli vendicatori (Ilaria Salis e Gabriele Marchesi) sono partiti dall’Italia per andare in Ungheria a punire persone che la pensavano molto diversamente da loro. Hanno raggiunto la località in cui si riunivano alcuni “peccatori” e li hanno presi a martellate o a manganellate (lo dichiarano gli inquirenti ungheresi) tanto da infligger loro delle lesioni. I due angeli, però, sono incappati nel codice penale ungherese e, mentre uno dei due (Marchesi), su mandato di arresto internazionale emesso dal giudice di Budapest, è stato messo in galera dalla polizia italiana, perché era riuscito ad uscire dal paese magiaro, l’altro è stato arrestato dalla polizia ungherese e messo in galera dalla stessa comparendo in tribunale, per il primo giudizio, con le catene ai piedi e con gli schiavettoni ai polsi. Per questo angelo rimasto in Ungheria (Salis) in attesa di giudizio, è stata chiesta dai suoi legali la scarcerazione o, quantomeno, la messa agli arresti domiciliari, richiesta non accettata dai giudici ungheresi. Quanto all’angelo arrestato in Italia, per altro verso, la giustizia ungherese ha richiesto a quella italiana l’estradizione nel proprio paese, istanza che i giudici di Milano hanno respinto, e non solo, hanno anche messo in libertà l’imputato a causa della scarsa gravità del reato: lesioni del bastonato guaribili in cinque giorni. La differenza sta nel fatto sostanziale che i due Stati hanno legislazioni diverse: in Italia, le lesioni con cinque giorni di guarigione possono fare attivare un processo solo dietro querela di parte e, comunque la pena prevista per tali reati è lieve, mentre, in Ungheria un’aggressione che procuri lesioni con  cinque giorni di guarigione è punita fino a 24 anni di carcere. Per cui le responsabilità vanno assunte secondo la giurisdizione del posto e ci si deve rassegnare alle conseguenze che ne derivano. Viene, infine, naturale una riflessione: con quale diritto si va in un paese straniero a prendere a martellate un avversario politico con l’idea di non dover pagare le conseguenze previste in quel paese?

Premesso che la vicenda che sta interessando in Ungheria Ilaria Salis (uno dei 2663, duemilaseicentosessantatre, italiani in carcere in Paesi fuori dall’Italia), diventata oggetto di discussioni fuori luogo sul fascismo e l’antifascismo, non può che essere considerata non degna di un popolo che voglia dirsi civile e che sia impossibile da concepire, nel terzo Millennio, in un Paese d’Europa, il comportamento medievale della giustizia ungherese che porta in tribunale un imputato con le catene ai piedi, qualche riflessione sulle reazioni che ne scaturiscono, va fatta.

P.S. i sette parlamentari italiani che si sono recati a Budapest a presenziare all’udienza che vedeva imputata Ilaria Salis avrebbero fatto meglio a starsene in Italia: si sarebbe evitato di fare apparire il Parlamento italiano in contrapposizione alla giustizia e al governo ungherese esacerbando gli animi, cosa che non favorirà la ragazza nelle decisioni che i giudici adotteranno.

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